Martin Gerull Scultore
Facendo visita all’atelier di Martin Gerull, sistemato negli spazi della Cascina Bagaggera, all’interno del Parco di Montevecchia, si è affascinati dalla bellezza e dalla forza della natura che qui ancora è ben conservata e rigogliosa, ma anche dall’opera dell’uomo: nei casolari rustici, oggi vetusti e rovinosi, testimoni dei tempi passati e operosi, ma anche nella rinnovata presenza di attività coraggiose che testimoniano la fiducia e la fattività per il futuro: una nuova grande stalla per capre, uno spaccio di prodotti biodinamici, una cooperativa che organizza corsi feste e seminari.
E tra tutti, appunto, le sculture di Martin Gerull. Sono, queste, moderni obelischi a scala umana, dove la forma non è perfetta geometria stellare ma dinamica ricerca del dramma dell’Io che si esprime in linee, angoli, diedri, spezzati volumi, piane superfici di forza vibrante. Oppure sono dischi marmorei poggiati sul suolo, increspata geografia in formato ridotto.
Non erano così le opere di Martin fino a un paio d’anni fa. Prima di allora la sua poesia visiva esplorava le atmosfere alte, eppur vicine e tenere, di presenze protettrici e consolanti: “il mio primo Angelo” era il motivo guida di una ricerca che anche vedeva protagonista l’Io umano, in figura solitaria o in coppia, levigata Verticale alla ricerca dell’equilibrio essenziale in sé stesso. Ma era sempre adombrato il dialogo con lo Spirito guida; finchè questo si è mostrato in una serie di gioiose apparizioni, quasi infantili, ma dolci, tenere, tonde e raggianti. Allora, l’ermetica e scostante sagoma dei fusi verticali antropomorfi chiusi in sé stessi o le colonne torcentisi e occhieggianti di nascosto si compensavano con il canto sereno e aperto delle aureole, dei raggi dolcemente orlati, dei ventagli luminosi, spiegati attorno alla Figura benefica. Un forte contrasto in opposizione che cerca dialogo tra condizione umana e grazia celeste.
Ancor prima però, riandando più indietro nelle tappe del percorso artistico di Martin, troviamo ancora dell’altro. La sua arte era ancora totalmente immersa nel fenomeno plastico come manifestazione di esseri, processi, leggi, forze generative nel puro campo ideale. Volumi, superfici, linee, spazi interclusi erano diretto apparire di fatti ideali, spirituali, soprasensibili, nella dimensione del percepibile. Certo: in talune opere si potevano vedere un torso, una vaga sagoma antropomorfa, una volontà di incarnarsi in un corpo terreno; ma era ancora tutto un esplorare la Forma galleggiando nella regione degli Archetipi in cui essa è Essenza.
Oggi no: non più.
Le sculture di Martin Gerull oggi toccano terra. Sono zolle formate che si ergono dal suolo con sforzo sovrumano; o lampi di luce
condensata in roccia al momento di batter sul terreno. Se si volesse cercare una lontana parentela espressiva, con ciò che ha fatto la storia dell’Arte, della Plastica, si potrebbe trovare negli ultimissimi gesti creativi di Martin, come spunto ispirativo non come risultato formale, un’eco dello spirito dei Prigioni. Forme che vogliono liberarsi dallo stato amorfo della materia, con sforzo eroico e fin violento, ma che non sono ancora, o non sono più, sagome antropomorfe, bensì gesti esteriori nella concretezza del sensibile, che tradiscono la presenza di un Sé. Grande, efficace, attuale ritratto dell’Uomo.